Prima il piacere, poi il dovere

Questo titolo è entrato come un fulmine nei miei pensieri, intento a riflettere sull’importanza delle pause e del gradevole relax, prima di scoprire che ad analoghe conclusioni era giunto un docente della Chicago Booth School of Business. La sua e altre autorevoli posizioni sembrano confermare che, in sostanza, le persone studiano e lavorano meglio quando sono felici e appagate.

Fa quasi sorridere, se pensiamo a quanto taluni temano il lunedì.

O all’umore non proprio alle stelle con il quale tanti riprendono il lavoro dopo le vacanze.

Nel nostro caso, in effetti, lanciamo l’affermazione come una provocazione. Una provocazione illuminante.

Spesso siamo talmente assorbiti dal dovere che, sebbene impegnati in un’occupazione che amiamo, finiamo per accumulare troppo stress. Uno stress negativo, di cui pagano lo scotto la nostra creatività e la nostra passione.

Quella sposabile è dunque l’idea di un piacere ristoratore che possa farci recuperare energia, lucidità, determinazione. Neanche un semplice riposo, ma una sosta rigenerante. Qualcosa che ringalluzzisca il nostro morale, una ventata di allegria e di leggerezza, una sana tregua positiva e stimolante.

In effetti il piacere da invocare, da utilizzare come un grimaldello contro l’oppressione di una tabella di marcia e diktat troppo serrata, da sfoderare come un’arma per prendere le distanze da una sorta di stagnazione del pensiero, è quello che rimette davvero in moto le nostre rotelle, le lubrifica.

Anche il riposo è fondamentale, intendiamoci, ma il piacere è altra cosa. È proprio un tempo per star bene, per coltivare quello che ci piace, per lasciarci sorprendere da un invito, da un’occasione ludica, da uno spazio di puro diletto.

In questo tempo, oltre a rilassare i muscoli troppo tesi, troviamo linfa.

Il piacere allenta una serie di freni, di paure, di malesseri, e ha la capacità di generare stimoli nuovi. Ecco che anteporlo al dovere non significa trascurare la propria agenda e i propri obblighi, venir meno alle proprie responsabilità o mandare il lavoro alla deriva. Tutt’altro. Vuol dire capire che in certi momenti la vera salvezza, la vera soluzione, la vera bussola, sta davvero in quel piacere che ci concediamo e mettiamo come priorità assoluta.

Del resto il piacere è anche una spia, una verifica, un banco di prova.

 

Basta a farci recuperare forza e motivazione?

 

Se basta abbiamo riportato in equilibrio la vitale bilancia di doveri e piaceri.

Se non basta mai, dobbiamo confrontarci con la situazione in maniera profonda: probabilmente avvertiamo il peso del dovere perché subiamo e non gestiamo la nostra quotidianità, il nostro lavoro, la nostra vita.

Non dobbiamo dunque affatto sentirci in colpa se talvolta mettiamo il piacere in cima alla lista.

Dobbiamo godercelo, semplicemente.

Possiamo preoccuparci solo nell’istante in cui percepiamo, appunto, che non riesce più a ricaricarci.

In fondo l’uno e l’altro dovrebbero essere vasi comunicanti. Siamo noi, nel mezzo, a regolare il flusso.

Se questo governo va in tilt è comunque ora di uno stop di riflessione, no?

Il piacere peraltro non è solo un’espressione e una fonte di benessere.

È pure una specie di scrigno nel quale scovare input preziosi, riconnettersi con le proprie ispirazioni, fare il punto sui propri sogni.

In più, dobbiamo ricordarlo bene, il dovere come forzatura ad oltranza non è affatto detto sia efficace.

Ecco, l’ago della bilancia vitale tra dovere e piacere potrebbe esattamente essere l’efficacia!

 

Stefano Pigolotti

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