Insicurezza, come smettere di dire “sono fatto così”

Sono fatto così. Forse l’abbiamo sentito o detto troppe volte.

Perché?

Talvolta è una presa di posizione.

Una di quelle cocciute prese di posizione che sbarrano il passo al dialogo e al confronto.

In una discussione, con il partner, con un collega, con un amico, alziamo le barricate. Non accettiamo critiche, non vogliamo saperne di essere messi in discussione.

Altre volte è una trincea nella quale rifugiarsi. Una sorta di zona di comodo che ci mette al riparo dalla paura del cambiamento. Il rifiuto di ammettere o affrontare la propria debolezza. Vorremmo fare qualcosa che però non ci sentiamo in grado di sostenere e allora entriamo in modalità auto-protettiva.

“Sono fatto così” è comunque un meccanismo di difesa che scatta quando avvertiamo un pericolo, quando ci sentiamo inadeguati a far valere serenamente punti di vista e decisioni, quando ci sentiamo nel bel mezzo di una partita che crediamo di perdere. Una giustificazione che mette fine a qualsiasi processo di crescita, di scambio, di naturale compromesso in una relazione.

In effetti neghiamo agli altri di interagire ulteriormente, di farci notare qualcosa che sbagliamo, di spronarci a migliorare o a superare qualche aspetto che ci limita ma, innanzi tutto, lo neghiamo a noi stessi.

Se sentirselo dire è avvilente, ci blocca, ci fa sentire impotenti, dirlo invece sul momento è liberatorio, ci sottrae alla pressione della verità…ma poi? Poi ci chiude nella nostra prigione. La prigione dell’insicurezza. Ci precludiamo l’opportunità di arginarla o sconfiggerla.

I cambiamenti possono essere faticosi, è vero. Mettersi in gioco può significare vincere o perdere, è altrettanto vero. È vero anche però che ogni volta che ci sottraiamo al rischio di perdere, ci impediamo l’eventualità di vincere.

“Mettetemi un’etichetta e mi avrete annullato”, scriveva Søren Kierkegaard.

Certamente condivisibile ma è forse peggio auto-etichettarsi!

L’insicurezza è la ragione per cui ci svalutiamo, quella che ci fa arroccare su quella scusa dell’impossibilità di cambiare.

Paradossalmente ci sentiamo al sicuro perché non dobbiamo fare i conti con noi stessi, lottare contro i motivi che l’hanno generata, metterci alla prova dei fatti.

“Io sono fatto così”, anche quando arriva come un moto arrogante e presuntuoso che sembra imporre agli altri una realtà immodificabile, cela un’insicurezza che sarebbe bene smontare.

Come?

Intanto rendendosi conto che non è così. Che abbiamo una storia e un carattere ma anche la possibilità di lavorarci su per darci respiro, per evolvere, per sviluppare ogni nostra risorsa. Non è così per legge di natura. Nulla è immutabile, neanche noi.

Vale esattamente lo stesso discorso che ben conosciamo per le cose, i processi, le opere: la logica “abbiamo sempre fatto così” avrebbe paralizzato l’ingegno, escluso ogni invenzione, impedito l’innovazione.

Poi scrollandoci di dosso l’idea che mediare, rettificare opinioni, ammettere errori o difetti, sia sinonimo di fragilità. Il lavoro su di sé, esattamente come il lavoro sull’interazione, è al contrario sempre un atto di forza.

Un altro buon motivo per smetterla di dire “sono fatto così” è la sana decisione di riconoscerci sempre una chance. Quella di uscire da quella prigione di ostinazione, di paura, di insicurezza.

Del resto, è giusto dirlo, maturità e consapevolezza possono ben convivere anche con i propri naturalissimi limiti, umani e professionali. Dunque è sempre meglio provare e non riuscire che infilarsi in quel vicolo cieco del “sono fatto così”.

“Io sono fatto così” peraltro ci preclude anche l’aiuto e il sostegno che ci può arrivare dagli altri.

Li tagliamo fuori, ci lasciamo scappare quell’apporto prezioso che sempre deriva dai rapporti.

In definitiva la cosa forse più importante è capire e ricordare che siamo una storia e un carattere ma anche il frutto di scelte.

Fino ad oggi abbiamo scelto di “essere così” ma possiamo decidere di non esserlo più, di essere altro, di metterci in cammino per farcela.

Spesso è davvero questione di approccio e parole. Sì, di parole. Smettiamo di usare l’infelice espressione “sono fatto così” e assestiamo il primo colpo alla nostra insicurezza. Diamoci subito un compito: quello di sfidare la tentazione di ricaderci e non cedere.

Smettiamo di dirlo e impariamo un po’ alla volta ad apprezzare quello che possiamo fare e diventare, quello che possiamo imparare interagendo senza muri, quello che i risultati ci raccontano. Smettiamo di dirlo e mettiamo nella nostra agenda mentale piccole azioni quotidiane che ci facciano conquistare passo dopo passo fiducia in noi stessi e voglia di mettere mano al nostro miglioramento.

La buona notizia è che siamo in tempo: il nostro cervello continua a forgiarsi per tutta la vita, ci insegna Daniel Goleman.

Possiamo concederci di rimanere così come siamo solo per le magnifiche e straordinarie virtù che, anzi, abbiamo il dovere e il piacere di coltivare!

 

Stefano Pigolotti

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