Piace a tutti, ricevere congratulazioni.
Quella pacca sulle spalle o quella stretta di mano che ci danno per esprimerci i complimenti, ci danno la misura di un apprezzamento e ci confermano che i nostri risultati sono stati notati.
Ben vengano dunque le congratulazioni come i risultati da festeggiare.
Del resto pensiamo che il motore delle nostre azioni verso un traguardo è dato proprio dalla soddisfazione che sappiamo e speriamo di trarne.
La gioia che riceviamo dall’approvazione altrui, dal loro sorriso di ammirazione, dal loro ringraziamento, non fa che regalarci ulteriore energia e alimentare, non tanto e non solo il nostro ego in stato di grazia, anche la nostra motivazione e il nostro benessere.
Il riscontro positivo del mondo intorno a noi è davvero entusiasmante.
Eppure possiamo immaginare qualcosa di ancora più prezioso: l’autogratificazione.
Non esercitiamo alcuna boriosa celebrazione delle nostre qualità o delle nostre abilità. Ci riconosciamo semplicemente e profondamente l’amore che meritiamo. Abbiamo il dovere morale di goderci il risultato e di essere grati a noi stessi per quello che siamo riusciti a fare.
Proprio questo stato di beatitudine non solo ci ripaga, ci stimola a proseguire, a migliorare, ad affrontare più serenamente nuove sfide.
Perché è così importante godersi i risultati ottenuti?
Lo è, abbiamo detto, perché ce lo siamo meritati. Lo è perché ci restituisce in tutto il suo splendore la misura del nostro valore. Lo è perché funziona come un propellente: ci fa andare avanti!
Godersi i risultati ottenuti è anche una grande occasione di analisi.
Ci fa trovare a tu per tu con ciò che il nostro sudore, la nostra passione, le nostre competenze, la nostra determinazione, possono davvero darci.
Il nostro “senso di utilità” e di efficacia ci inebria e ci sprona.
E, ancora, migliora la relazione con noi stessi. Una relazione, ricordiamolo, che dura tutta la vita, che è essenziale per tutto ciò che facciamo e desideriamo.
Spesso siamo molto severi, con noi stessi. Facciamo fatica a perdonarci gli errori, a comprendere le nostre debolezze, a non condannare le nostre mancanze. In realtà dovremmo imparare a essere un po’ più indulgenti, più disponibili a darci sempre una nuova chance. E allora, o a maggior ragione, a ogni piccolo successo possiamo concederci un premio. Un premio che allena anche la nostra capacità di dialogo interiore. La ricompensa può essere anche solo una sosta, una pausa per riprendere forza e fiato ma anche un tempo per respirare a pieni polmoni quella auto-soddisfazione rigenerante.
Quella portentosa risorsa che è l’autostima si nutre anche di attimi magici come questo! Quello in cui un obiettivo conseguito ci chiama a festeggiare.
Nulla deve però farci credere che siano solo gli esiti favorevoli ad alimentare l’amore per noi stessi. Possiamo sbagliare, possiamo non riuscire ad arrivare là dove ci eravamo prefissi di arrivare ma non possiamo per questo smettere di amarci. A contare davvero è sempre il percorso, è ciò che abbiamo fatto e siamo diventati lungo il cammino.
La riconoscenza verso noi stessi sviluppa la fiducia e il rispetto ma ci riconnette anche alla nostra responsabilità. Una responsabilità che possiamo vivere in modo più felice: come possibilità di essere protagonisti coraggiosi della nostra vita.
Come godersi i risultati ottenuti?
Al di là dunque della forma di gratifica che scegliamo, sia una sosta di relax, un dono superlativo o quello sfizio che finalmente ci togliamo, il vero godimento è assaporarne la portata, i risvolti, la nuova linfa che ne traiamo.
Acquisire la consapevolezza di quanto sia importante, quell’auto-riconoscimento.
È una molla che facciamo scattare in noi e ci apre a un’infinita serie di opportunità.
Non siate parchi anzi, siate generosi, di pacche sulle spalle a voi stessi.
Godere dei risultati ottenuti significa sorridere a se stessi e sorridere a se stessi è una porta aperta sul futuro.
Ci ripaghiamo per quello che siamo stati, abbiamo dato e fatto, ci ripaghiamo per essere, dare e fare di più.
Possiamo scegliere come farlo ma non dobbiamo mai dimenticarcene.
Stefano Pigolotti